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La Pimpinella tiene una rubrica mensile sul settimanale Vita Trentina nella pagina dedicata all'agricoltura dal titolo “Racconti e raccolti”. Si tratta della storia e degli aneddoti relativi alle specie e alle varietà frutticole ed orticole tradizionali, di cui rappresentano il corredo culturale.

ZUCHET DEL SOLDA'

...a buccia sottile

Non è facile trovare sul mercato una zucchina dalla buccia sottile. Lo sa bene Pierfranco che continua a coltivare nel suo orto a Pomarolo una varietà che dal nome evoca tempi difficili. Si tratta del "Zuchet del soldà".

I semi gli erano stati consegnati anni addietro da un conoscente di Lizzana il quale a sua volta gli aveva raccontato di averli ricevuti da un soldato lombardo che durante la seconda guerra mondiale aveva frequentato per un certo periodo la sua casa e la sua famiglia. Un anziano che, da allora, li aveva riprodotti con costanza di anno in anno.  Il Zuchet del soldà proprio per la sua tenera scorza, non è certo una varietà adatta ad essere commercializzata, perché facilmente deperibile, ma nell'orto familiare sottocasa sembra non possa mancare. Certo, per la sua riproduzione occorre prestare una certa attenzione, perché le varietà di cucubitacee si impollinano e dunque si ibridano facilmente fra di loro, perciò occorre assicurarsi che nei dintorni non vengano coltivate altre zucchine della specie Cucurbita pepo. Oppure occorre procedere all'impollinazione manuale. Ma pare proprio che ne valga la pena, se non altro per far memoria di quel milite rimasto senza nome, di cui ancora si parla grazie a chi ha condiviso i suoi semi con l' associazione La pimpinella per diffonderli ancora di più: infatti sono in molti oggi a coltivare nei loro orti il Zuchet del soldà.

BORLOTTO DI STORO

Fasöi däl ciòc

Oggi sono rimasti in pochi a Storo a coltivare quei fagioli borlotti, chiamati tradizionalmente “fasöi däl ciòc”. Invece, fino ai primi anni Ottanta del secolo scorso, il paesaggio agricolo della piana alluvionale del Chiese si presentava come un mosaico variegato di piccoli campi coltivati, i cui confini erano tracciati da alti filari di “fròsche di orn”, cioè di orniello, su cui questa varietà di fagiolo arrampicava con facilità.

La varietà del borlotto di Storo è molto vigorosa con una fioritura abbondante e scalare. I baccelli sono lunghi fino a 25 centimetri e contengono ognuno otto-nove semi allungati e reniformi, color crema rosato di fondo, ma screziati di viola e di nero. Gli uomini in primavera allestivano il “bòsc de fasöi” con le fròsche prelevate nel bosco durante l’inverno, disponendole in filari alla distanza di circa cinquanta centimetri l’una dall’altra, seminando poi a postarelle. La raccolta delle “bagiane”, iniziava intorno alla metà di agosto per terminare ad ottobre inoltrato con l’ultimo raccolto dei baccelli ormai seccati sullapianta,“däfarfò”,ossiadasgranare. La produzione annuale di fagioli, consociata o in successione alle colture della patata, del mais, del frumento e della canapa, era così abbondante da eccedere rispetto ai bisogni alimentari delle famiglie, tanto da consentirne in buona parte la vendita. La Famiglia Cooperativa commercializzava il prodotto nei mercati di Brescia e Verona, dove il borlotto di Storo veniva molto apprezzato. “La massima produzione si raggiunse negli anni Sessanta e Settanta”, racconta il direttore di allora. “Ricordo di aver ritirato in un solo giorno ben 220 quintali di baccelli e un anno ci sono stati consegnati circa 1.500 quintali di fagioli”. Un’ enormità. Le donne, che per la raccolta in campo dei baccelli si servivano di grandi grembiuli annodati alla vita, detti bögaröle, si passavano la voce: “Se te vè fö botèga, domàndaghe se i töl sü le bagiane!”

PHASEOLUS COCCINEUS

Produttivi e ornamentale

“Phaseolus coccineus species” è la dicitura latina per indicare una specie di fagioli che per alcune caratteristiche genetiche e quindi anche morfologiche si differenziano da quella del fagiolo “vulgaris”. Sono numerose le popolazioni di fagioli coccinei coevolute col pedo-clima locale, individuate in Trentino dall’associazione La Pimpinella.

D’altronde la nostra regione, che si sviluppa per l’ottanta per cento sopra i seicento metri, ben si presta alla coltivazione di questa specie rustica e produttiva che cresce bene in montagna. Specie rampicante dalle foglie ampie, abbisogna di forti tutori di almeno tre metri d’altezza per sorreggerne la vigoria durante lo sviluppo. In fioritura offre una bellissima cascata di grappoli di fiori, bianchi o rossi, oppure di entrambi i colori a seconda della varietà. Poi, la caratteristica che subito salta all’occhio è la grossezza e la colorazione del seme che può essere rosa o viola screziato di nero nel caso della Fava viola di Pinè dal caratteristico aroma di castagna; completamente bianco, come quello della Fava bianca sempre di Pinè ma con la buccia più fine; oppure anche nero o beige nei fagioli chiamati Quattro colori di Gaggio. I nomi con cui sono conosciuti questi fagioli sono altrettanto variegati: si passa dalla Fava di Pinè, che fava appunto non è, al Diavoletto marrone e quello viola di Croviana, al bianco di Spagna della val di Sole; fagiolo del Papa in Vallarsa; e ancora Pavoni, Pavloni e Fasoi da pelar in Valsugana, Fagioli gnocchi quelli di Sevignano, Fasolane a Storo, Russi in Val di Gresta. Diffuse dunque un po’ dappertutto, queste varietà e popolazioni vengono consegnati all’Associazione anche senza un nome preciso, chiamate solamente coccinei. Vengono raccolti sia maturazione cerosa che secchi, quando si vogliano conservare per l’inverno o la semina successiva. Che vengano consumati in insalata o nelle zuppe, si tratta sempre di grossi “fasoi che fa fazion”.

POMODORO ROSINA

Forte e resistente

Il pomodoro Rosina viene coltivato da molto tempo nel comune di Dro. Rosina, l'anziana custode, ha ricevuto le sementi da un suo vicino oltre 40 anni fa e da quel giorno ha raccolto e selezionato i frutti migliori per conservare e tramandare questa pianta così speciale. Sembra che questa provenisse dal meridione, probabilmente si trattava originariamente di una delle tante varietà Cuore di Bue, considerate esse stesse varietà antiche.

La selezione operata nei lunghi anni dalla signora Rosina ha consentito di conservare una specie perfettamente adattata al clima del Trentino. Seminabile in serra fin da metà marzo, può essere trapiantato in campo aperto già dopo la metà di aprile: inizia a fruttificare verso la fine di luglio ma, con stagione ed esposizione favorevole, anche fino a 15 giorni prima. Mantiene la produzione fino a metà settembre ed in serra può continuare anche fino ad ottobre. La pianta è forte e resistente ad afidi e malattie, solitamente non supera gli 1,5 metri e richiede sostegni forti, capaci di portare rami molto carichi. Coltivabile fino a 700 metri di quota teme prevalentemente i terreni troppo umidi e la cattiva esposizione. I frutti si presentano grandi e sodi, tendenzialmente con polpa compatta e con pochi semi: saporiti e profumati possono essere consumati freschi ma si prestano anche alla preparazione della conserva invernale.

Le cigole dal grop

Cresce in compagnia

Angelo abitava nella sua vecchia casa a Rover di Capriana in Val di Fiemme, arava i suoi campi con il cavallo e, come tutte le persone della sua generazione, manteneva i semi da un anno all’altro. Negli anni Ottanta del secolo scorso regalò alla signora Bruna (che a sua volta donò alla nostra associazione) una manciata delle sue “cigole dal grop”, coltivate da sempre a casa sua.

Sono piccole cipolle della dimensione di una noce da mettere a terra a inizio primavera. Si seminano appena sotto terra perché “devono sentire le campane” e nel verso giusto cioè “con la testa in su”. Ogni bulbo si moltiplica producendone 4 – 6 nuovi e raggruppati attorno alle radici, il cosiddetto “grop” che dà loro il nome. Il sapore di questo ortaggio è più intenso rispetto alla comune cipolla ed ha il grande pregio che quando le temperature iniziano ad aumentare e le altre cipolle e scalogni sentono la primavera, iniziando a germogliare, loro si mantengono ancora bene e si possono usare in cucina fino a giugno. Oltre a questa recuperata a Capriana, abbiamo notizia anche di un’altra coltivata a Cimone.

Erbezine (bietoline)

Se le bina en mazeti

Si tratta delle bietoline, erbe dolci a costa sottile che non mancano mai negli orti del nostro Trentino. Quelle i cui semi, dopo essere stati tramandati per anni in famiglia, sono stati donati all'associazione Pimpinella affinché possano essere diffusi nuovamente sul territorio, hanno la costa sottile e bianca. Quanti fra noi hanno sentito dire: "Va zo en tel ort a binar su en mazet de erbezine"!

Un termine quasi vezzeggiativo per dire di quelle tenere erbette di un verde vivace, da utilizzare dalla primavera in poi per essere consumate prevalentemente cotte nella preparazione di gnocchi e di minestroni. Seminate a spaglio o a fila, possono essere tagliate più volte e con una buona innaffiatura ricacceranno ancora. Le erbezine, come tutte le chenopodiacee, hanno un ciclo vegetativo biennale, cioè si sviluppano andando a seme l'anno successivo a quello della semina. Volendo portare le piante a seme, è bene trovare per loro nell'orto la giusta posizione, pensando che in quel punto rimarranno per molto tempo. Peraltro, poiché gli organi femminili e maschili contenuti nei fiori maturano in tempi diversi impedendo che si verifichi l'autofecondazione, le piante dovranno necessariamente essere più di una. Il vento favorirà allora l'impollinazione. Le erbezine, al secondo anno allungheranno le spighe fiorali verso l'alto fino a raggiungere un'altezza di quasi due metri: occorrerà sopportare un po' di disordine orticolo fintanto che i pannicoli di fiori, ormai trasformati in grossi semi, inizieranno a seccare. Una volta raccolti gli steli in un telo, sarà poi facilissimo staccare i semi strofinandoli leggermente fra le mani, per conservarli al fresco (la germinabilità si prolunga per alcuni anni), fino alla semina successiva.

Pomodoro Valdiriva

Cornoso a buccia fine

Di questa antica varietà di pomodoro peretta conosciamo l'origine geografica, da cui il nome, cioè Valdiriva, una località alla periferia di Rovereto, ma non conosciamo il nome del primitivo custode. Chi oggi ha il privilegio di coltivarlo e di apprezzarne le qualità organolettiche ed agronomiche, è riconoscente a chi aveva custodito e conservato nel tempo questa ottima e produttiva varietà di pomodoro locale.

Il frutto è carnoso e gustoso, la buccia sottile è bella rossa, ma chiara attorno picciolo; è lungo dagli otto ai dieci centimetri e pesa mediamente dai trecento ai quattrocento grammi. La sua resa è ottima se trasformato in salsa, ma è altrettanto delizioso se consumato fresco in insalata. La polpa di questa peretta è compatta e molto colorata, pochi i semi. La pianta, vigorosa e ben adattata al clima del territorio trentino, è resistente al freddo e alle malattie. Il Valdiriva, nato in fondovalle, cresce bene anche ad altitudini superiori e per la sua bontà si è rapidamente diffuso tra i custodi delle varietà locali. Ora questa varietà di pomodoro antico si può ritrovare non solo negli orti familiari, ma anche in qualche mercato contadino dove i frutti freschi o trasformati vengono commercializzati da alcune aziende agricole biologiche che ne hanno riconosciuto ed apprezzato le qualità eccellenti. .

Pomodoro Balteri

Da un'orto abbandonato

Un orto a Rovereto città fa quasi meraviglia, soprattutto se ben tenuto dopo parecchi anni di abbandono. E allora succede che qualche vicino attraverso la rete ti chieda: "Hai bisogno di piantine? Perché avrei dei pomodori eccezionali, di cui riproduco i semi da alcuni anni. Mi erano stati dati da una conoscente di Lizzana che a sua volta li teneva da molto tempo."

Musica per le orecchie di chi cerca varietà locali e sorpresa di scoprire che la biodiversità può essere conservata anche negli orti urbani. E' una varietà molto ben adattata che non ha grandi esigenze colturali: un paio di spruzzatine di bordolese appena interrati, la periodica sfemminellatura e acqua secondo le necessità. Il primo assaggio è una festa: la polpa carnosa e succosa invita a mangiarli appena raccolti, ancora caldi, in orto, "sbrodolandosi" le mani o, più civilmente, tagliati a grosse fette e conditi anche solo con un pizzico di sale. Grossi, tondeggianti, il loro peso medio è di circa settecento grammi, ma arrivano anche a millecento, senza perdere in dolcezza e qualità. La produzione abbondante e prolungata è sempre una certezza, tanto che la loro trasformazione in sugo in agosto è necessaria perché tanta grazia non venga sprecata. Chi li lascia più? Il nome dato in occasione della consegna dei semi all' associazione la Pimpinella, è quello di pomodori Balteri, la via di Rovereto dove ormai da dieci anni non mancano più.

Fagiolo mascherina

Il piu' bello

Il mascherina è uno tra i fagioli più belli del ricco assortimento conservato dall'associazione Pimpinella e in un immaginario concorso di bellezza guadagnerebbe sicuramente il podio. La natura ha vestito questo piccolo fagiolo rotondeggiante dei colori e delle forme allegre del carnevale: è per metà bianco e per metà screziato di beige, marrone e di nero. Indovinatissimo perciò il nome “mascherina”con il quale è stato battezzato.

Si tratta di una varietà rustica di origine valsuganotta, molto resistente e che non richiede particolari cure, solo irrigazioni di soccorso durante la fioritura, quando i suoi bei fiori bianchi si mostrano via via che la pianta arrampica sui tutori. Il fagiolo mascherina è tendenzialmente autogamo e non si incrocia facilmente con altri fagioli, ma per mantenere con sicurezza la varietà in purezza ed evitare l'ibridazione è prudente e sufficiente tenere fra di loro una distanza di pochi metri; questa varietà ha una produzione abbondante e circa sei sette fagioli sono contenuti in ogni baccello. Come tutti fagioli, una volta sgranati, si proteggono dalla minaccia del tonchio riponendoli nel congelatore per qualche giorno. Sono molto buoni e digeribili avendo la buccia sottile e anche cotti mantengono la screziatura . Dopo un ammollo di almeno dodici ore, la bollitura deve essere lenta e in abbondante acqua non salata e a fine cottura, come scrive Angelico Prati nel Dizionario valsuganotto, si compie l'operazione di “spaurar i fasoi”, versando “acqua fredda sui fagioli che bollono, così che vanno a fondo del paiolo o del calderotto”. Da cui il detto “fasoi spaurai, fasoi famai”: pronti da mangiare.

Ciliegio Valduga

Donato alla scuola

Correva l'anno 2015 quando nell'ambito di un progetto di recupero di antiche varietà frutticole, una giovane piantina di ciliegio era stata donata alla scuola elementare di Terragnolo. Si trattava di una qualità riprodotta da una grossa pianta ancora oggi affacciata sulla strada in prossimità la frazione di Valduga di Terragnolo. Era stata segnalata all'associazione durante un'escursione di censimento di frutticole locali, oltre che per l'affetto provato nei confronti di una pianta centenaria, per la caratteristica del frutto, resistente ai parassiti.

Piccole drupe scure e succose, ricche di antiociani, lasciavano la bocca dolce e le labbra colorate di scuro. In quell'occasione, altre piccole piante di ciliegio riprodotto da un vivaista di fiducia e battezzato naturalmente, Valduga, erano state regalate ai bambini della scuola, per conservarlo nelle campagne della valle trentina attraversata dal ramo di Terragnolo del torrente Leno. Putroppo, dopo lo svezzamento, il ciliegio della scuola è andato perso: incidenti di percorso che bisogna mettere in conto; ma per fortuna, il patriarca resiste benissimo ed altri suoi figli, ormai adolescenti approfondiscono le radici in altre località della valle.

Figo... dela goza

Mieloso e aromatico

Fico dottato secondo la nomenclatura ufficiale, “dela goza” secondo quella popolare, per la particolarità di produrre, quando maturo, una goccia di melassa alla base del frutto. Gli anziani se lo ricordano bene ed ancora oggi lo possiamo ritrovare nell'angolo più esposto al sole di vecchie case abbandonate o addossato ai muri a secco di qualche terrazzamento. Lo si incontra facilmente se si percorrono, verso la fine dell'estate, vecchie stradine di campagna, tra campi semiabbandonati, sia in valle che a mezza montagna.

Facilmente riconoscibile per il frutto di media grandezza, dalla buccia giallo verdastra e sottile, la polpa dolcissima, mielosa ed aromatica. E' una pianta generosa, che produce sempre , che si facciano o meno interventi di potatura. Rustica, perchè cresce anche su terreni poveri e non è soggetta a malattie fungine e nemmeno ad attacchi di insetti . Facile da coltivare e da riprodurre da pollone . E' una delle più antiche varietà di fichi italiani e Gallesio nella sua Pomona Italiana dei primi dell'800, la fa risalire ai tempi dei Romani , descritta da Plinio il Vecchio. Per la sua dolcezza il frutto è molto gradito sia consumato fresco, che trasformato in marmellata. Adatto all'essiccazione per essere utilizzato in cucina come ingrediente primario ,insieme alle noci, nella preparazione dello Zelten, dolce natalizio tradizionale trentino.

Zucca grigia a 700m

... di Civezzano

“Tradizionale? Penso proprio che lo stia diventando, io certo non l'abbandono, sono più di vent’anni che riproduciamo i semi della zucca grigia e non ci hanno mai delusi: eccola qui!”. Federica in un campo di Civezzano che si sviluppa a circa settecento metri d’altezza, coltiva questa varietà di zucca dalla buccia grigia e dalla dolce polpa arancione, zucca che ama il terreno molto fertile. In primavera, niente di meglio che posizionare la piantina sul bordo della buca dove matura il letame per l’orto, sul quale lentamente allunga le foglie ombreggiandolo durante l’estate e lasciare che poi non sviluppi più di due frutti.

Quando ogni zucca si ingrossa, un sasso oppure un’asse posta sotto, l’allontana e protegge dall’eccessiva umidità della terra, in attesa che il picciolo si secchi, segnale che indica giunto il momento della raccolta; alcuni giorni a mezz’ombra per una migliore asciugatura e le zucche sono pronte per il consumo. Una caratteristica peculiare della zucca grigia, se mantenuta in luogo asciutto e fresco sta nella sua lunga conservabilità, tranquilllamente fino alla primavera successiva. “Fortunanamente” aggiunge Federica, “nelle vicinanze non vengono coltivate altre varietà di cucurbitaceae, dunque non corro il rischio di incroci indesiderati, altrimenti, per mantenere la zucca grigia in purezza, dovrei ricorrere all’impollinazione manuale”. Il suo utilizzo in cucina è versatile, come ripieno per ravioli, al forno, oppure per dare spessore alle minestre ed ai minestroni. Se in primavera dovesse iniziare a marcire, è sufficiente pulirla,  tagliarla a pezzi e metterla in freezer per minestroni o vellutate future: così buona che sarebbe un vero peccato sprecarla, anche se….è solo una zucca.

Insalata estiva Cembra

Adatta al clima montano

È una varietà di insalata originaria delle zone di Verla di Giovo e di Serci. Conservata da una famiglia di valligiani da almeno cento anni, questa insalata presenta le caratteristiche tipiche delle varietà antiche: cespo abbastanza rado, foglie larghe, tenere e gustose; ha un ciclo breve e tende ad andare in seme rapidamente. Adattata alle quote alte, cresce molto bene anche a mille metri di altitudine: non teme il freddo, mentre soffre l’eccessiva insolazione e le temperature elevate.

Maggio è il mese ideale per la semina, ma in condizioni climatiche e di esposizione favorevoli si può anticiparla ad aprile o addirittura in marzo, mentre autunni miti consentono il posticipo a settembre per ottenere raccolti di insalata novella in ottobre. Un ottimo sistema per la coltivazione consiste nel seminare intensivamente una piccola superficie di terreno, da mantenere protetto dal sole e costantemente umido: fungerà da serbatoio di giovani piantine da destinare al trapianto. Con il nome distintivo della sua origine geografica e le doti di adattamento al clima montano quest’insalata ci dimostra come la selezione in campo operata dai contadini in un tempo molto lungo, ci abbia lasciato in eredità un vegetale perfettamente in grado di soddisfare sia le necessità agronomiche che quelle alimentari ed organolettiche.

Nespole, un po' dimenticate

Ultimi frutti di stagione

“Vado nell'orto, vedo un vecchietto, gli tiro la barba e gli ciuccio il culetto”. La risposta a questo divertente ed ironico indovinello sono ormai in pochi a conoscerla. Sì, perchè le nespole sono frutti dimenticati, relique di un tempo scomparso. Spesso sono alberi molto vecchi , anche centenari gli esemplari di piante di nespolo germanico che ancora capita di incontrare. Può crescere selvatico anche fino a mille metri di altitudine, ma prevalentemente si trova innestato su biancospino o cotogno.

Sopravvissuti ai cambiamenti del mondo rurale , solo perchè dimenticati , disegnano un confine invisibile con il paesaggio che nella loro lunga vita gli è cambiato intorno. Si fanno notare in autunno, ai margini di un campo incolto o lungo una capezzagna di campagna, carichi dei loro frutti color marrone, dalla polpa allappante ,ma che diventerà tenera , bruna e leggermente asprigna (ammezzimento) se lasciati maturare , meglio se sulla paglia. Chissà quante cose avrebbero da raccontare i vecchi alberi se solo potessero parlare ed è una fortuna rara poterne conoscere la biografia, ma capita qualche volta che sia la voce di un anziano testimone a raccontarla . Fu Ella a raccontarci davanti al suo nespolo dei Baisi a Terragnolo, che “L'era sta encalmà su un biancher” , cioè su un sorbo montano , come da tradizione. E' ancora lì, a richiamare carico di frutti lo sguardo di chi passa sulla strada sulla quale si sporge.

Susina di Boemia

Arrivata in val di Ledro

I tre anni e mezzo trascorsi come profughi in Boemia e Moravia tra il 1915 e il 1919,rappresentano una traccia indelebile nella biografia collettiva degli abitanti della val di Ledro e anche le piante madri, centenarie, della susina boema, che in rari esemplari ancora punteggiano i campi della valle, contribuiscono a documentare quella storia. Divenne di casa, dopo esserci arrivata con il viaggio di ritorno dall'esodo, insieme ai ricordi, ai dolori, alle amicizie e alle nuove usanze gastronomiche di cui si conserva ancora memoria.

Le ricette degli swetschenknödel moravi (gnocchi di patate con la prugna), del Kolace (dolce di prugne ) e degli gnocchi boemi di pasta lievitata il cui cuore è rappresentato proprio dalla "brugna mora" dal gusto dolce ed aromatico, si possono tuttora apprezzare in alcuni ristoranti ledrensi. La varietà è geneticamente vicina alla più nota susina di Dro e molto probabilmente si tratta della varietà austroungarica Hauszwetschge, Prunus domestica.  Le piante madri non sono innestate , ma nate da seme secondo la tradizione agronomica del periodo imperiale. Il frutto è ovale, lievemente allungato, la polpa è compatta di colore giallo o verde-giallo e la buccia varia dal colore rosso-violaceo al blù-viola scuro con la caratteristica patina pruinosa sulla superficie. La storia di questa buona susina ha per fortuna un lieto fine e la memoria dell'esodo è conservata in nuove piante, figlie di quelle storiche, che grazie a giovani agricoltori ed agricoltrici ledrensi hanno messo le loro radici nel futuro.

Grisotto di Celva

Dalla soffitta all'orto

Per far radicare gli ultimi grisotti trentini rimasti dimenticati in soffitta per 20 anni,Sandro (questo il nome del custode e protagonista del racconto) si è affidato al consiglio radicale di Luigi della Pimpinella: “Bando alle esitazioni, seminali tutti insieme e non un po' alla volta, subito, senza aspettare ancora!” E così su cento semi , è bastato che ne germinassero una manciata per recuperare con grande gioia di Sandro una varietà di fagiolini mangiatutto che erano diventati il filo conduttore della storia della sua famiglia e per i quali nutriva un legame quasi affettivo.

Nei loro baccelli, forse più ricordi d'infanzia che semi: i grisotti , dovevano essere raccolti "ben maturi perché facessero fazion", gli raccomandava il nonno; e poi le ceste piene, gli orti, perfino le lezioni di catechismo con la parabola del seme che muore e risorge La loro storia è complicata : partiti da Celva, alle pendici del Cimirlo, fanno avanti e indietro dalla Francia dove i progenitori di Sandro erano emigrati alla fine degli anni '20 del secolo scorso , per tornare finalmente in Trentino all'inizio del duemila, rimpatriati , grazie a lui che ne era andato alla ricerca. Per vent'anni rimangono dimenticati in soffitta , fino alla fruttuosa svolta di qualche anno fa che li ha salvati. Da allora, ogni anno vengono coltivati e riprodotti non solo nell'orto di Sandro ; si sono infatti diffusi in Trentino grazie ai “ coltivatori custodi” della Pimpinella che hanno felicemente adottato questa eccellente varietà. Il Grisotto trentino del racconto è rampicante, ha un baccello ricurvo verde, tenero, gustoso , di riconosciuta bontà ; i semi sono piccoli, tondi , di color vinaccia scuro. Appartiene , lo certifica il nome, alla tradizione trentina.

I fasöi della Mariuccia

Perfetti con patate e lardo

Sono salvi e in buone mani i fasöi della Mariuccia e nonostante il suo orto di Prezzo nelle Giudicarie Inferiori, da qualche anno sia rimasto orfano, crescono bene anche nella terra di Luciano, che per amicizia ha raccolto la preziosa eredità . Erano arrivati da Condino, distante pochi chilometri, portati dalla mamma di Mariuccia almeno novant'anni fa, ideali per essere cucinati insieme alle patate e al lardo , secondo la ricetta tradizionale del “patao”.

Eccola la ricetta tratta dal Sussidario della Cucina Trentina: “ Si lessano i fagiolini insieme alle patate e poi si passano fino ad ottenere una morbida purea. A parte, in un tegame si prepara un soffritto con lardo , cipolla, aglio e burro. Fatto questo si aggiunge la purea, si spolvera con grana grattuggiato e si aggiunge la spressa fresca tagliuzzata finemente , mescolando e scaldando a fuoco lento fino a quando il formaggio non sia sciolto. Infine sale e pepe e poi in tavola ancora caldo accompagnato da un'insalata di cavolo cappuccio o con teneri formaggi di malga.” E' una varietà locale che si è adattata molto bene all'altitudine di circa 600 metri di Prezzo. Cresce rapidamente, per cui dalla semina al raccolto abbondante dei baccelli , larghi, piatti e di colore verde chiaro, il tempo è breve. Apprezza la consociazione con le patate o il mais e come la maggior parte delle varietà tradizionali ha bisogno di aggrapparsi alle “bachete” ruvide del nocciolo .

Saraceno di Terragnolo

Presidio SLOW FOOD

Si chiamava Francesco Potrich, detto Franz, colui che in un ripido campetto della frazione Perini di Terragnolo, da una vita coltivava per la sua famiglia il grano saraceno, riproducendo da sè i semi di anno in anno. La coltivazione del "formentom", da sempre si adattava alla coltura sui terrazzamenti magri di questa valle.

Fagopyrum esculentum, una poligonacea a breve ciclo maturativo, che veniva seminata in seconda battuta, dopo il raccolto di frumento, orzo, segale. Con la sua farina "mora", acqua e sale, veniva preparato un impasto lento, aggiungendo a volte una patata grattugiata, che veniva cotto con un po' di strutto in una padella di ferro a mò di frittata, per preparare una sorta di nutriente pane alpino quotidiano: il fanzelto. La ricetta tradizionale è oggi diventata una De.Co (Denominazione Comunale) di Terragnolo. L'ambizioso progetto di recupero di questo ecotipo di grano saraceno, specifico di questa valle, divenuto da poco anche presidio Slow food, viene portato avanti da un gruppo di orgogliosi volontari, i Saraceni. Progetto evolutosi anche nell'acquisto di un mulino comunitario, ubicato alla frazione di Zoreri e che porta il nome di un altro Francesco (Stedile) che lo aveva fortemente voluto. Cosí, durante la tarda estate, i numerosi campetti della valle si colorano prima di bianca e rosa resistenza, successivamente, del colore rosso degli steli delle piante raccolte ad essiccare in piccoli covoni chiamati, per somiglianza, "donete". Sabato 9 settembre prossimo, sarà possibile essere guidati attraverso la fioritura del "formentom" di Terragnolo.

Fasoleto bianco Marter

...del Fernando di Roncegno

Bianco è il colore di questa antica e gustosa varietà di fagiolo; di piccole dimensioni, la forma tondeggiante, il tegumento sottile e tenero: che quasi si scioglie in cottura, rendendo questo fagiolo adatto anche alla preparazione di dolci. Si riconosce anche per un vezzo che lo contraddistingue: un piccolo puntino nero in corrispondenza dell'ilo.

Fernando, l' anziano contadino di Marter ( una frazione di Roncegno in Valsugana) racconta di averlo sempre coltivato, prima di lui la sua mamma . "Sempre" è un avverbio desueto, bandito dal vocabolario della società dei consumi , che sa di fedeltà, attaccamento, tenacia. Ogni anno, quando la terra riprende a scaldarsi, Fernando prepara l'orto, pianta le "bachete", che servono altissime perché è un fagiolo che arrampica molto, semina (a postarelle) e poi raccoglie i baccelli freschi o seccati sulla pianta, li " sgrana" e , ultimo atto, seleziona i migliori per garantire la semina dell'anno successivo. Sono gesti semplici ed umili ,che ci vengono consegnati insieme ai fagioli. Una preziosa eredità che ha bisogno di nuove mani, di nuovi custodi.

Fagiolini Frati nani

profughi a Mitterndorf

Fagiolini chiamati frati nani: in effetti il portamento della pianta è quello basso. Partiti da Noriglio, arrivati profughi a Mitterndorf cento anni fa e poi tornati per essere coltivati ancora. Per poco questa varietà non andava perduta, ma eccoli qui i semi, pronti per il prossimo anno. Identici ad allora?

No di sicuro, ma adattati, strategicamente resistenti. Qualcosa avranno perso e qualcosa avranno acquisito sebbene nel seme il colore del saio rimanga: barbari a loro stessi, e benvengano così. "Frati nani" direbbe la carta d'identità, ma chissà quanto di nuovo si portano dentro, passando di mano in mano e di orto in orto. Saporiti e produttivi, si direbbero biodiversi, ma sono ricchi solo perché hanno viaggiato nel tempo e nei luoghi, mentre ciò che viene rinchiuso, se va persa la chiave per calcolo o per incuria, va a morire.

Insalata dela Mariota

Non teme l'inverno

La signora Maria, detta Mariota Frighela, ha custodito e diffuso a Carbonare di Capriana (Val Di Fiemme) un piccolo tesoro. Nel piccolo borgo tutti l’hanno conosciuta: era la sacrestana della piccola chiesa e regalò ai suoi paesani tantissime sementi che oggi sono ancora presenti negli orti. L’insalata della Mariota Frighela è un regalo prezioso per le nostre tavole invernali.

Il piccolo cespo, formato da foglie allungate verde chiaro e screziate di vari toni di rosso, è coltivato in pieno inverno sotto una semplice copertura protettiva. Si può seminare a partire dalla fine di agosto fino al mese di marzo successivo per avere verdura fresca tutto l’inverno. Per riprodurre i semi si sceglie una pianta sana e rigogliosa, tra quelle seminate in autunno, si lascia crescere e fiorire. Quando i piccoli fiori gialli lasciano il posto a dei piumini bianchi è tempo di recidere il gambo, portare la pianta in soffitta ed appenderla a testa in giù per farla asciugare ed estrarre la preziosa semente.

Mela limoncina

Antica da riscoprire

Limoncina o taffetà bianca d'autunno, è una varietà di mela antichissima, molto diffusa in passato soprattutto nelle valli di Non e Valsugana. Sarà stata apprezzata anche dal grande scrittore russo Lev Tolstoj, considerato che è presente nel paniere varietale del suo meleto nella tenuta di Jasnaja Poljana, insieme ad altre varietà di provenienza tirolese come la Rosmarina Bianca e Rossa, le Fragone, la Renetta Ananas e Canada, la Rosa Mantovana ed altre ancora.

Nomi che compaiono nell'elenco stilato dalla madre dello scrittore all'inizio dell'Ottocento in cui annota : “Ci sono 849 alberi di melo di 25 varietà diverse e tra i più preziosi abbiamo quelli di origine sudtirolese”. Qualche raro esemplare di pianta si può ancora riconoscere ai margini di un prato, lungo una strada poderale o in mezzo ad un campo abbandonato , quando in autunno maturano i caratteristici frutti di colore giallo dorato, dalla forma tronco-conica, leggermente appuntita che ricordano il frutto del limone e ne richiamano il nome. Matura tardivamente e si conserva bene senza avvizzire fino a febbraio-marzo. La polpa è bianca, succosa, profumata e dal sapore leggermente acidulo. Viene consumata fresca oppure dopo averla cotta lentamente nel forno a legna con un cucchiaio di miele, ma il massimo della gustosità lo raggiunge in dicembre e per questo motivo gli anziani la ricordano sulla tavola nel giorno di Natale.

Fasoi del Bertino

"I pù boni de la Tera"

Si coltivano a Grauno , in Val di Cembra , a quasi mille metri di altitudine. Quando il signor Bertino consegnò all'associazione un pugno dei suoi preziosi fagioli , ci tenne a dire che quelli erano “i fasoi pu boni dela tera”. Ci raccontò che prima di lui li coltivava sua madre, nata all’inizio del Novecento e di averli visti sempre nell'orto di famiglia e sulla sua tavola, cucinati secondo le ricette di casa.

I piccoli orti ricavati sui terrazzamenti ripidi e solivi del paese di Grauno ospitano ancor oggi questo legume locale. Sono fagioli rampicanti, con baccello screziato di beige e fondo scuro e il seme color caffè latte disegnato di nero. Verso la fine di maggio, quando non incombe più il pericolo di gelate e la terra torna calda, è il momento di seminarli. Attorno ad ogni palo si interrano 6-8 semi. Sono fagioli a “duplice attitudine”: è ottimo il baccello giovane, da raccogliere durante l’estate prima che faccia il filo, come anche il fagiolo da sgranare che matura nel mese di settembre. La produzione è abbondante sia per numero di “baggi” che per quantità di fagioli per ogni baccello.

Piselli di Seregnano

Seminare al disgelo

La storia di questi piselli suscita fra i più anziani di noi il ricordo di piazzette affollate, colori e profumi. Venivano coltivati a Seregnano, una piccola frazione di Civezzano all'inizio della Val di Cembra, dalla signora Erminia, classe 1906. Tramandati per via femminile, sono fortunatamente arrivati fino a noi.

"La nonna", ci raccontano, "li coltivava per sè ma scendeva anche in città per venderli insieme ad altre verdure del suo orto nelle piazze contadine di Trento fino agli anni Ottanta": Piazza delle oche, ora piazza Erbe è ancora sede di mercato. Piazza Garzetti, mercato occasionale, una volta era proprio chiamata la piazza dei contadini, dove donne e nonnette vi portavano dagli orti del circondario della città, verdure e fiori di loro produzione ("Ah, i mughetti in primavera!") . Si tratta di piselli a mezza rama, da mettere in terra appena questa sgela, come le cipolle e l'insalata. Grazie alla loro bontà - i contadini buongustai conservano solo i semi dei prodotti migliori - ed alla perseveranza di una donna, eccoli ancora nei nostri orti: dolci, grossi e dalla produzione così abbondante, che a volte anche il freezer ringrazia.

L’atriplice degli orti

Spinacio rustico

Con i primi sentori di primavera, ha subito sete di cielo l’atriplice degli orti. Specie annuale, si propaga seminandola, ma più facilmente è sufficiente lasciare che disperda i semi al termine del suo ciclo vegetativo e puntuale ad ogni primavera spunterà precocemente, come fanno i teneri ciuffetti di camomilla.

Si tratta di uno spinacio estivo, rustico, la cui pianta può arrivare fino al metro e mezzo o due di altezza, che tanto smuove precocemente il terreno, quanto rapidamente tende ad andare a seme. Un tempo pianta selvatica, venne addomesticata già nell’antichità ed è rimasta negli orti finché non è stata sostituita dalla coltivazione degli spinaci. Si coltiva bene nei terreni poveri, tollera l’aridità, richiede il pieno sole ed eventuali innaffiature nei periodi siccitosi. Le foglie tenere dell’atriplice degli orti, chiamata anche bietolone, sono verdi oppure rosse a seconda della varietà e vanno raccolte di frequente, man mano che si sviluppano, cimando spesso le piante perché non vadano a seme. Le foglie vengono consumate in aggiunta alle insalate ed utilizzate come gli spinaci, soprattutto cotte, appena scottate, semplicemente condite con un filo d’olio oppure impiegate per la preparazione di zuppe, gnocchi e frittate. Le infiorescenze molto grandi dell’atriplice producono un’abbondante quantità di semi piccoli, neri e contenuti in una membrana sottile. È grazie a questa abbondanza che l’associazione La Pimpinella ha potuto recuperare e nuovamente diffondere questo spinacio che una volta mai mancava negli orti trentini

BIANCA O ROSSA E' LA ROSMARINA

Dal Sudtirolo

Sebbene molte varietà di mele antiche non siano più presenti sulle nostre tavole, numerose hanno ancora radici nei nostri campi. Sopravvivono ai margini di un’agricoltura trasformata in industria: talvolta inconsapevolmente in qualche frutteto familiare abbandonato; talvolta invece le piante sono intenzionalmente recuperate e custodite con il proposito di arginarne l’estinzione e dare il giusto valore al patrimonio colturale e culturale che questi frutti rappresentano.

Un esempio virtuoso di recupero è quello rappresentato del frutteto storico di Cles, dove a partire dal 2008 sono state messe a dimora ben un’ottantina di varietà di mele e dodici di pere. In tale collezione troviamo anche le mele Rosmarina bianca e Rosmarina rossa, in tedesco rispettivamente Edelweisser e Rother Rosmarinapfel. Originarie del Sud Tirolo hanno una storia molto antica: si trovano infatti citate dal pomologo tedesco Diel e descritte dall’italiano G. Gallesio nella sua opera iconografica “Pomona italiana” già all’inizio dell’Ottocento. Si distinguono fra loro per il colore della buccia, giallo /rosa nella prima e giallo/rossa nella seconda; la polpa di entrambe è croccante, succosa ed aromatica; il frutto è caratterizzato da un buon equilibrio fra acidità e dolcezza. Nella varietà rossa si avverte un leggero retrogusto di cannella. La raccolta si effettua nella seconda decade di ottobre e la conservabilità si protrae fino a marzo. Le mele rosmarine sono adatte per il consumo fresco, ma anche per la produzione di sidro ed aceto. In passato erano esportate nei mercati del Nord Europa e fino in Russia, dove venivano apprezzate come ottime mele da tavola.

Fagiolo della Provvidenza

Dal Veneto in Val di Gresta

È stata la Provvidenza a portare questo piccolo fagiolo in Val di Gresta, un secolo fa, alla fine del primo conflitto mondiale. Quando i profughi fecero ritorno nella loro valle, dopo più di tre anni di forzoso esilio all’interno dell’impero austroungarico o nel regno d’Italia, dovettero ricominciare non solo dalla ricostruzione delle case distrutte o saccheggiate, ma anche dai campi che, rimasti incolti per lungo tempo, andavano rimessi urgentemente in coltura.

Tra i beni necessari per ricominciare e di cui erano rimasti privi, c’erano anche i semi, indispensabili per garantirsi il primo raccolto del dopoguerra. Si racconta che in soccorso dei contadini grestani venne dal Veneto meridionale un’associazione, il cui nome, “della Provvidenza”, ci racconta anche di un tempo in cui gli uomini invocavano l’intervento di Dio per affidargli l’incertezza del raccolto, i capricci del tempo, le malattie e gli infortuni e di quando nella cultura contadina il sacro ispirava la solidarietà tra le persone. Da allora questo piccolo e prezioso fagiolo viene ricordato con questo attributo divino e la sua storia rievocata ad ogni raccolto. È una varietà di fagiolo che cresce basso, per cui non ha bisogno di aggrapparsi al tutore. Il seme è piccolo, tondeggiante, colore verde pallido con un caratteristico puntino nero in corrispondenza dell’ilo. La buccia sottile lo rende tenero e digeribile.

Il Cetriolo di Aldeno

Perso e ritrovato

Vuoi che anche il cosiddetto Cetriolo di Aldeno non abbia una sua storia? Certamente sì, se è arrivato fino a noi! Ma come durante i traslochi a volte si dimenticano o si perdono degli oggetti, così è capitato alla storia del Cetriolo di Aldeno. Saporito, profumato, digeribile: “Ottimo!” è il giudizio di tutti coloro che lo hanno potuto apprezzare e che, presi i semi durante una “Chiamata a raccolto” dell’Associazione La Pimpinella, sono tornati a riferire del successo della semina.

Così anche lui ha preso nuove strade e la sua storia proseguirà, nonostante la memoria della sua coltivazione ne sia andata persa, tranne la località di provenienza. Questa varietà di cetriolo tradizionale e rustica si fa voler bene, anzi, si fa voler… buona, sia per il suo gusto e per il suo profumo, sia per la produzione abbondante e prolungata di ogni pianta, che produce frutti un po’ più piccoli di quelli commerciali, dalla forma ricurva e dalla buccia verde chiaro, tipicamente un po’ spinosa. Il Cetriolo di Aldeno si semina in tarda primavera e poi, per conservare la varietà e produrre i semi, si lascia crescere uno dei primi frutti fino a completa maturazione, finché diventa giallo: è questo il momento di aprirlo, raccoglierne i semi, sciacquarli e asciugarli bene, prima di riporli in un vasetto di vetro. Il gioco è fatto, in attesa dell’anno successivo in cui festeggiare un altro compleanno.

Rapa di Terragnolo

Di S.Anna e di Giuseppe

Si semina il 26 luglio, che nel calendario dei santi e dei contadini è dedicato a S.Anna e Giuseppe ,nel suo orto di Zoreri in valle di Terragnolo, si presentava puntuale e fedele ogni anno all'appuntamento con la terra. Un gesto di devozione alla rapa e alla santa, imparato in famiglia e replicato anche in molti altri orti della valle.

Sembrava che ci aspettasse quel giorno di settembre del 2011 e chi c'era ricorda l'orgoglio di poterci mostrare quel frutto carnoso e profumato , di farcelo assaggiare e infine di consegnarci una mano piena dei suoi preziosi semi. Un affidamento, non una semplice consegna. Per noi della Pimpinella un'eredità preziosa e una responsabilità, perchè il 26 luglio dell'anno successivo è toccato a chi ha ricevuto quei semi onorare l'implicita promessa: per Giuseppe quello era stato il suo ultimo raccolto .Così è avvenuto l'incontro con la rapa di Terragnolo e ad ogni semina e raccolto dedichiamo un pensiero riconoscente al suo custode originale. Coltivata da sempre sulle terrazze al sole della valle, produce una radice grossa, con la polpa bianca , carnosa e molto profumata ; la buccia di un bel colore bianco mescolato al viola sul colletto. Adeguatamente diradata raggiunge pesi di 400/500 grammi. Le rape affettate venivano stufate da sole o insieme alle patate, a piacere insaporite con la pancetta e nella tradizione di Terragnolo fatte fermentare insieme ai crauti. Una verdura ideale per una dieta ipocalorica.

Fasoi di don lucillo

dalla val di Ledro

È una varietà rampicante che ha bisogno della “bacheta” per aggrapparsi. Produce semi screziati, di colore giallognolo,di medie dimensioni. Si semina dopo il 20 di maggio ed è adatta alla mezza montagna. Questo fagiolo è legato alla figura di don Lucillo, da cui il nome. Di lui si sa che operò nella Valle di Ledro fra la fine del diciannovesimo secolo ed i primi decenni del Novecento (1859-1929) e che fu una figura molto attiva nella vita economica e sociale della sua comunità.

Durante la Prima guerra mondiale fu profugo in Boemia insieme ai suoi parrocchiani e probabilmente fu lui ad adoperarsi, al rientro in valle degli sfollati, per procurare loro di nuovo le sementi necessarie per riprendere a coltivare i campi forzatamente abbandonati. Ci piacerebbe conoscere meglio la storia che collega questi “fasöi” ad una figura così significativa per la storia della valle; ll legame ci aiuta a datare l’origine di questa varietà , che con ogni probabilità risale ai primi del Novecento. Un’eredità importante che appartiene alla comunità di Ledro dove viene ancora fedelmente coltivata in alcuni orti familiari. Viene raccolto fresco per un consumo immediato o secco per essere conservato e consumato nell’inverno. Ottimo cucinato lesso, in umido o come ingrediente dei minestroni.

Soia della Valsugana

Il caffe' di guerra

Il ritrovamento in Trentino di questa leguminosa e il racconto che la sua coltivazione risaliva agli anni del primo dopoguerra, sono stati una vera sorpresa. La soia veniva coltivata per preparare il cosiddetto “caffè delle vigne” o di “fasoleto”: un surrogato del caffè, che in tempo di guerra sostituiva la più pregiata bevanda, introvabile o troppo costosa. Più economico e locale, come l'orzo, la cicoria, i lupini e i fichi, anch'essi utilizzati come succedanei.

"Caffè delle vigne" perché la soia veniva seminata sotto le pergole o tra le file del mais, aggiungendo allo scopo di raccogliere la granella, anche il vantaggio indiretto dato dalle proprietà della leguminosa, di arricchire di azoto il terreno e perciò di fertilizzarlo. I baccelli venivano fatti seccare ed i semi tostati sul fuoco nell'apposito tostino, (brustolin), fino a quando i semi gialli prendevano il colore del saio del frate, facendo attenzione a non carbonizzarli; venivano poi macinati manualmente ottenendo così una polvere che veniva fatta bollire per qualche minuto insieme all'acqua e lasciata poi decantare: il caffè, versato nell'apposito bricco tenuto al caldo sul fornello, era così sempre pronto all'uso. La semina della soia avviene a file in tarda primavera. La pianta raggiunge un'altezza di 50-60 centimetri e porta una decina di baccelli, ciascuno dei quali contiene 4 o 5 piccoli semi sferici di colore giallo. Si raccoglie quando gli steli ed i baccelli sono di colore marrone ed isemi vengono separati con la battitura. La soia è una tra le migliori e ricche fonti di proteine vegetali; protagonista nella dieta vegetariana e vegana viene consumata fresca, ancora verde, prendendo il nome di edamame, o come legume, essiccata. La storia del "caffè di guerra" ci garantisce che quella ritrovata in Valsugana non può essere sicuramente OGM, come gran parte della produzione mondiale.

Pesca sanguinella

Ritrovata in val di Gresta

E' una “qualità” di pesca antica. Nel linguaggio contadino non si usava la parola “varietà” quando si parlava delle piante da frutto coltivate nel proprio campo. La classificazione veniva fatta sulla base di riconosciute e condivise percezioni sensoriali di profumo, colore e gusto che rendevano quel frutto oggettivamente unico e meritevole di essere scelto, innestato, mantenuto e conservato.

La pesca sanguinella o sanguigna deve il suo nome al colore rosso/violaceo della polpa; una vera sorpresa che insieme al suo profumo intenso ed aromatico rende questa pesca un frutto emozionante. La buccia ha un colore grigio/violaceo ed è ricoperta da una fitta peluria : poco invitante per chi è abituato agli standard estetici delle varietà commerciali. E' un ottimo frutto da mangiare fresco e da trasformare in succhi o confetture nei quali si conservano molto bene sia il profumo che il colore. Una varietà rustica, resistente al freddo ed ai parassiti che matura a fine agosto, inizio di settembre, insieme all'uva. La pianta madre è stata ritrovata qualche anno fa in una concimaia di Valle San Felice dall'Associazione La Pimpinella durante un sopralluogo di censimento in Val di Gresta. Si moltiplica per innesto prelevando le marze in primavera, ma anche la propagazione tramite seme è un metodo molto adottato per questa tipologia di peschi, in quanto mantiene fedelmente le caratteristiche della pianta madre. Era diffusa in tutta Italia e viene citata come pesca carota dall'illustre botanico Giorgio Gallesio nella Pomona Italiana: un'importante opera che descrive e raffigura le principali varietà coltivate agli inizi del 1800. In Vallagarina si trova testimonianza della sua coltivazione nelle nature morte dipinte da Attilio Lasta , noto pittore lagarino (1886-1975) ; le pesche vellutate erano uno dei suoi soggetti preferiti. Primizie raccolte nelle campagne della destra Adige, quando il paesaggio era ancora disegnato in primavera dalla fioritura dei ciliegi e in autunno dal profumo fruttato delle tante tipologie di frutta che vi si coltivavano. Una soddisfazione averla trovata e riprodotta e poter dire che la “natura morta” del celebre artista è ancora viva. Nel centro di Villa Lagarina un bellissimo parco è stato meritevolmente intitolato ad Attilio Lasta. Sarebbe una bella e “vivente” citazione dei suoi dipinti trovare piantati proprio in questo luogo, poco distante dalla casa natale, qualche albero della pesca da lui tante volte raffigurata ; da offrire allo sguardo e all'assaggio di chi abita o visita il borgo. Buoni motivi colturali e culturali insieme per augurare a questo frutto un ritrovato interesse.

Bazana de Stivor

Un viaggio di 1000 Km

Più di mille chilometri è la strada percorsa da questo piccolo fagiolo bianco : la distanza che separa la Valsugana da Stivor (il paese delle prugne), un villaggio di origine trentina nascosto tra i boschi in Bosnia-Erzegovina. È una storia di emigrazione che inizia nel 1881, quando l'alluvione che colpisce la Valsugana, costringe molte famiglie ad abbandonare le loro case per migrare verso una terra sconosciuta, selvaggia ed incolta.

Sui carri che portano circa duecento persone ad intraprendere a piedi un viaggio che Sandra Frizzera chiamerà "odissea della speranza", insieme a qualche animale vengono caricati semi di mais, fagioli , patate , qualche pianta da frutto e di vite, con i quali garantirsi presto la possibilità di sfamare questa neonata colonia agricola. Il viaggio di ritorno dalla Bosnia alla Valsugana la "bazana di stivor"lo fa negli anni '90 del secolo scorso, quando a causa della guerra in Yugoslavia , numerose famiglie della terza o quarta generazione ritornano profughi, nella terra di origine dei loro antenati. Nelle valigie dell'esodo non possono mancare, insieme alle foto dei propri cari e a qualche oggetto famigliare, i semi: simbolo di un legame affettivo con le proprie radici. Ogni anno, da allora, questa tenera bazana rampicante dal colore verde pallido, viene seminata in primavera negli orti di Roncegno e Marter e nello stesso tempo in quelli di Stivor, suggellando simbolicamente un legame con la storia delle due comunità.

Fagiolo di Carisolo

Cresce a 800m

Nell'alta Val Rendena, sotto i graniti del Brenta ed i ghiacciai dell'Adamello, ad un'altitudine di circa 800 metri, che per le coltivazioni orticole inizia ad essere impegnativa, continua ad essere tramandata una particolare qualità di fagiolo. Il fagiolo giallo di Carisolo una volta essiccato e sgranato si presenta piccolo e tondo, di un bel colore ocra intenso.

Contrariamente alla pietra dura sulla quale si articola la valle, questo fagiolo è tenero e dolce, con la buccia particolarmente sottile che ben si addice alla preparazione in zuppa o lessato e appena condito. Da sempre seminato la prima settimana di maggio, al "satún di mac' ", (ma secondo alcuni occorre astenersi i giorni che contengono la lettera R), ad una profondità che "i ghà da sintèr li campani", sembra proprio non temere la temperatura fredda di quei giorni ancora primaverili crescendo rigoglioso e abbarbicato alle alte "bachete". Queste poi, agli inizi dell'autunno, quando l'umidità potrebbe pregiudicare la salubrità del prodotto lasciato in campo, vengono sfilate dal terreno assieme alla pianta intera e messe ad asciugare al sole in luogo riparato in attesa della perfetta essicazione. Lo sanno bene i giovani custodi della Piccola proloco di Carisolo, i quali, con entusiasmo, sono diventati i custodi di questa varietà che nel 2019, detratta la quantità necessaria alla semina dell'anno successivo, hanno condiviso con la popolazione in occasione della Cena di S.Martino. E anche quest'anno il fagiolo giallo è pronto per essere sgranato, conservato e gustato dalle famiglie e dai ragazzi di Carisolo.

Insalata Maso Rozza

Invernale dai semi chiari

In cammino sul sentiero dei castagni che si snoda sopra Roncegno, passando fra antichi masi e rivoli d'acqua ghiacciata: quella volta, quasi ad aspettarci davanti al suo orto a Maso Rozza,agli inizi di una fredda primavera, c'era Anna. In un luogo incantevole a quasi mille metri affacciato sulla bassa Valsugana tappezzata dalle stoppie del mais, una signora affabile e generosa, ci mostrava sotto un telo le tenere piantine, già grandicelle.

Raccontava il suo gesto antico di raccogliere e riseminare l'insalata, da quanti anni non lo ricordava neppure lei. E diceva: Sì, certo che poteva darci un po' di semi! Così è arrivata e si è diffusa nei nostri orti un'insalata invernale, dai semi chiari e dal grosso cespo verde appena screziato di un rosso gentile. Forse perché l'abitare in quell'orto panoramico accanto al recinto delle pecore l'ha resa tanto bella quanto buona, l'insalata di Maso Rozza ha trovato parecchi estimatori che la riseminano ogni anno. Soprattutto oggi che la signora Anna non c'è più avendo vissuto la sua ultima stagione, ma che sul tavolo dei lavori orticoli aveva lasciata pronta come sempre, in modo del tutto naturale, la semina dell'insalata di casa sua.

Il fagiolo Rosetta del Tesino

Nutrimento di famiglia

Il buon fagiolo rosetta viene coltivato da sempre in terra tesina e ancora oggi si ritrova in molti orti familiari. Si racconta che questa preziosa eredità sia passata di mano in mano per linea femminile, da madre a figlia, perchè mentre i “perteganti” tesini facevano gli ambulanti in terre lontane, spettava obbligatoriamente alle donne, occuparsi della casa, degli animali e quindi anche dell'orto.

Semi di casa, simbolo di un legame familiare e comunitario, nutrimento di famiglia già dal lontano fine ottocento; forse trasmesso da una generazione all'altra insieme al corredo, nella dote matrimoniale. Il nome rosetta deriva dal bel colore rosa screziato del seme, vivace quando è fresco, più scuro nel fagiolo seccato. Per la semina occorre aspettare che la terra sia calda, a fine maggio, lontano dal rischio di gelate tardive. E' una varietà rampicante e le “bachete”, i tutori, vengono piantate nel campo secondo una geometria e tradizione che vuole i fagioli fare da perimetro alla coltivazione delle patate o del mais. Un mosaico di campi che disegnava il paesaggio della bellissima conca del Tesino. Matura precocemente e la produzione è abbondante : ogni baccello contiene da cinque a sette fagioli belli grossi. Il fagiolo rosetta è molto saporito consumato sia fresco che essiccato, in insalata ma anche come ingrediente di un caldo minestrone invernale.